Friday, November 24, 2006

Metter su massa

Non se n'erano resi conto ma erano tornati a essere una massa. Non più quella massa omogenea, tutta uguale, la massa proletaria controllata dal sistema, immersa nel sistema, ma una massa diseguale, confusa, senza meta, senza scopo. C'era stata la fase individualista, la fase in cui tutti volevano emergere, distinguersi. O almeno si pensava di poterlo fare: la massa proletaria era finita, tutti avevano i sogni anche se non avevano i mezzi.

Ma ora quei mezzi ce li avevano tutti. Ora tutti potevano effettivamente farlo, potevano sollevarsi, e men che non si dica erano tornati a essere una massa: da seduti come da in piedi, sempre massa erano.

Solo che ora non c'era più sugo neanche a farsi notare perché tutti lo facevano. Ogni diversità aveva la sua cornice, ogni pensiero era catalogato, ogni cosa aveva un percorso, una sorta di maglia neuronale legava ogni fatto, ogni concetto, ogni oggetto effettivo al suo significato e ad altri ancora. Digitando una parola si arrivava a conoscere tutto, a comprare tutto. Chiunque entrava in questo circolo vizioso ne finiva prima glorificato e poi, in una folle corsa per l'emersione, umiliato. Controllare questa massa era un'arte ancora più sofisticata, tuttavia funzionava molto meglio, poiché tutti credevano di essere indipendenti, di pensare quello che volevano, di fare quello che volevano - di essere liberi e soli e allo stesso tempo uniti a tutti gli altri. Uno stupido specchio per le allodole, perché i discorsi reiterati continuavano, e anzi erano amplificati. Le scontate blaterazioni da spogliatoio non erano più riservate a momenti particolari, ora tutto era un salotto e la gente comunicava con frasi che si autocostruivano, senza controllo, nella loro mente. Il caos stava avendo inizio, eppure tutti credevano fosse un nuovo ordine.

Era un inferno malamente addobbato da paradiso: tutti cercavano, immersi in questo enorme vortice - eppure si erano scordati la meta.

Let's go to prison

Wednesday, November 15, 2006

Prestigio

Il bravo illusionista non svela i suoi trucchi.

Ammaliato, il pubblico guarda le sue mani senza accorgersi di cosa sta accadendo dietro al mantello. Il cappello si volta, e quella che era acqua si tramuta in magnifici cristalli di vetro.

E quando lo spettacolo è finito e gli spettatori si alzano soddisfatti, il mago resta lì e li guarda. Ancora una volta ha funzionato, ancora una volta non solo ci hanno creduto ma si sono anche convinti. Sfacciato. E' come sparare ai pesci in un barile.

Come falene, tranquilli vanno verso la loro bruciante meta. E l'illusionista lì fermo a fissarli con i suoi occhi...

Coincidence

Monday, November 06, 2006

Quello che contava

Tutti camminavano affrettati. Come tutti i giorni lavorativi in quella Metropoli la gente non aveva un minuto da perdere.

Era una città affollata. Orientali, creoli, messicani, negri, tedeschi, non uno che sembrasse realmente appartenere a quelle strade asfaltate, a quelle mura di cemento, a quelle vetrate che non facevano che riflettere volti diversi.

Dipendenti ovunque: ognuno con la sua ventiquattr'ore, i suoi occhialini da sole, il suo abito nero. Postini occupati a portare fax, raccomandate, pacchi. Camerieri stracolmi di ordinazioni sui loro vassoi che entravano e uscivano dai grattacieli, portando con sé colazioni di lavoro ancora calde.
Un lunedì come altri, in quel formicaio brulicante di lavoro.

E intanto lui, all'ultimo piano del suo grattacielo, contava. Un lungo abito bianco, i morbidi capelli scuri un po' arruffati, gli occhi che si lanciavano giù dal terrazzo intenti a guardare la massa quasi indistinta di persone.
Lui stava lì e li seguiva con lo sguardo, li seguiva tutti, non se ne lasciava scappare uno, e li contava, li contava uno per uno, uno dopo l'altro...

Here comes the Light